06 settembre 2015

MOSTRA DEL CINEMA DI VENEZIA 2015


La 72esima edizione della Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia si svolge dal 2 al 12 settembre 2015. Di seguito i titoli indiani in cartellone:
Visaaranai, in concorso sezione Orizzonti, di Vetri Maaran, primo film tamil in concorso nella storia del festival;
Pyaasa, in concorso sezione Venezia Classici, prima mondiale dell'edizione restaurata;
Island city, in concorso nell'ambito della sezione autonoma Giornate degli Autori, di Ruchika Oberoi;
- For the love of a man, in concorso sezione Venezia Classici - Documentari sul cinema, di Rinku Kalsy, in lingua tamil e inglese. Documentario dedicato ai fan di Rajinikanth.

Vetri Maaran - Venezia, 2015

Aggiornamento dell'11 settembre 2015: Visaaranai si aggiudica il premio di Amnesty International (sezione italiana) per il miglior film sui diritti umani. Nel comunicato stampa si legge: 
'"Il film racconta con uno stile fortemente anticonvenzionale una realtà drammatica e tragicamente ingiusta. Lo sguardo di Maaran è lucido e naif insieme, spietato e commosso, illuminato a tratti da lampi di ironia che rendono il film originale e spiazzante. Un esempio di cinematografia coraggiosa alla quale è bello e doveroso dare spazio e voce" - ha dichiarato Veronica Pivetti, attrice, regista, testimonial di Amnesty International Italia e presidente della giuria del premio. "Molti altri film, in concorso e non, si sono occupati di vari aspetti relativi ai diritti umani, con sensibilità e originalità. Ma Visaaranai, tratto dall'esperienza di un sopravvissuto ora attivista per i diritti umani, ha prevalso sugli altri, per la potente carica di denuncia della tortura praticata nelle stazioni di polizia dell'India e per il clima d'impunità e corruzione che la favorisce, a scapito di persone vulnerabili e indifese" - ha aggiunto Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia'. 

Ruchika Oberoi - Venezia, 2015

Aggiornamento del 12 settembre 2015: Ruchika Oberoi vince il premio Fedeora (Federation of Film Critics of Europe and the Mediterranean) per il miglior regista esordiente. La motivazione: 'Island city ci ha colpito per la sua visione surrealistica di un mondo pseudo-moderno che comunque affonda le sue radici nella realtà della vita quotidiana'. Ho comunicato la vittoria a Vinay Pathak via Twitter. Ecco il messaggio dell'attore: 'A delightful moment for the debut director! How she makes all of us proud and happy! Applause Applause! Go Ruchika!'. 

Dinesh Ravi - Venezia, 2015

RASSEGNA STAMPA/VIDEO (aggiornata al 19 settembre 2015)

Video ufficiale: conferenza stampa e sessione fotografica per Visaaranai  
- Recensione di Island city, Renato Loriga, Sentieri Selvaggi, 2 settembre 2015
- Recensione di For the love of a man, Raffaele Meale, Quinlan, 5 settembre 2015: 'In una nazione che sta perdendo sempre di più i punti di riferimento, e che non trova nella politica uno sfogo alla propria insofferenza, un divo come Rajinikanth viene elevato a ruolo di semidio: lui, uomo del popolo che è riuscito a raggiungere la gloria imperitura (...) è il simbolo di una riscossa possibile, la dimostrazione che si può pretendere di uscire dal proprio status sociale. Non con la lotta di classe, e neanche con il cinema: con l’idolatria. For the Love of a Man indaga un’umanità ricca di contraddizioni e per questo ancor più affascinante, senza mai giudicarla o svilirla a ruolo di semplice bozzetto privo di identità. Anzi, è proprio la ricerca dell’identità, di una propria essenza riconoscibile al di là della mera condizione di vita, il fulcro di una narrazione segmentata ma mai episodica, che permette allo spettatore occidentale - e a chiunque non fosse avvezzo alla cultura tamil e al suo cinema - di entrare in contatto con una realtà “altra”, senza sensazionalismi di sorta. Può il cinema essere una religione? Può l’immagine rimanere realmente cristallizzata nel tempo, sradicata dalla propria “verità”? Chissà. Il ralenti che apre Muthu (1995), con Rajinikanth che dopo l’irruzione in scena compie un balzo sovrumano per saltare a bordo di un carro, è già sacrale in fase di ripresa. È già culto. Accessibile a tutti, senza ricatti morali, senza obblighi di obbedienza. Una prova d’amore, e di ossessione. Ma vi è poi differenza?'

Samuthirakani - Venezia, 2015

- Recensione di Visaaranai, Renato Loriga, Sentieri Selvaggi, 10 settembre 2015
- Recensione di Visaaranai, Raffaele Meale, Quinlan, 12 settembre 2015: 'Se c’è una cinematografia che esce vittoriosa dalla settantaduesima edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, si tratta senza dubbio alcuno di quella indiana. Al di là del restauro in digitale dell’indispensabile Sete eterna (Pyaasa) di Guru Dutt del 1957, testimonianza di un passato tanto glorioso quanto pressoché sconosciuto alla stragrande maggioranza degli appassionati e degli addetti ai lavori, il Lido è stato illuminato dalla presenza di due opere provenienti dal Subcontinente. Di For the Love of a Man, documentario di Rinku Kalsy inserito in Venezia Classici, si è già avuto modo di scrivere: un intelligente resoconto del divismo che si spinge fino a pochi passi dalla pura e semplice idolatria. Ma il vero colpo al cuore, nonché una delle visioni più avvincenti dell’intera Mostra, è passato sugli schermi durante gli ultimi giorni. (...) Interrogation non è solo un cupo thriller poliziesco che indaga la corruzione politica indiana, e non è neanche un semplice film di denuncia. Certo, mescola i due aspetti in modo uniforme, ma non è tutto qui. Nel meticciamento tra impeto “sociale” e struttura popolare, Interrogation è la dimostrazione della vitalità di una nazione che da un punto di vista strettamente cinematografico viene ancora con troppa facilità associata a Bollywood. (...) Il peso di Interrogation non si valuta solo sul suo già eccellente valore estetico e cinematografico, ma anche sull’importanza che acquista la sua presenza all’interno di un festival internazionale: Bollywood non è più l’unico punto d’approdo per chi avesse voglia di confrontarsi con un prodotto mainstream indiano. Perché Maaran dimostra di saper gestire una materia tutt’altro che facile come quella della storia (vera) che porta in scena con la sicurezza del veterano. Il ritmo a cui lo spettatore deve abituarsi fin dalle prime sequenze non lascia scampo, e non per una scelta ipercinetica. È l’angoscia, il sentimento della paura, la certezza di non essere mai al sicuro di niente, che attanaglia le viscere del pubblico, legandole a doppio nodo alla poltrona del cinema. Non è facile uscire indenni dalla visione di un film come Interrogation, brutale atto d’accusa contro il sistema indiano nel suo complesso (e sotto il profilo della lettura politica, la scelta di ambientare la vicenda in due stati diversi dell’India è davvero convincente) che prende spunto da una vicenda realmente accaduta. (...) Quello che sembra a prima vista durante la proiezione una suddivisione in due parti (il modo in cui sono trattati coloro che emigrano, pur sempre all’interno dell’India, e la mala politica dei palazzi del potere) si rivela a conti fatti un unico grande organismo, messa alla berlina del potere e delle sue infinite storture. Un film politico che, come già si accennava, non rinuncia mai alla sua vocazione popolare, intrattenendo - se così si può dire - lo spettatore. Un thriller poliziesco tesissimo, che procede a nervi scoperti verso una tragedia ineluttabile. Nel mirabile uso degli spazi - Interrogation si fonda essenzialmente su due location, la stazione di polizia nell’Andhra Pradesh e quella nel Tamil Nadu - Vetri Maaran costruisce sequenze destinate a rimanere a lungo impresse nella memoria del cinefilo. Su tutte valga l’esempio del lungo finale nel canneto, in cui il carattere di genere del film prende il sopravvento. Ma è lo stato incubale in cui il regista fa sprofondare i suoi sventurati protagonisti - colpevoli di essere di una casta senza valore, pedine da utilizzare come si preferisce - a spostare in maniera definitiva l’ago della bilancia. Un’opera visivamente potente, livida, buia e cupa, che traccia le coordinate di una nazione slabbrata e incancrenita, che del pensiero del padre della patria Mohandas Karamchand Gandhi non possiede più neanche le briciole. Ovviamente sarà impossibile recuperarlo in Italia, per cui si procederà alla tecnica del download selvaggio, di qui a qualche mese. Un peccato, perché Interrogation è uno di quei film che vanno goduti nel buio di una sala, di fronte a uno schermo nel quale sia possibile far sprofondare lo sguardo'.


- Recensione di Visaaranai, Marco Ceriotti, Paper Street, 12 settembre 2015
- Recensione di Visaaranai, Gautaman Bhaskaran, Hindustan Times, 13 settembre 2015
- Recensione di For the love of a man, Raffaele Meale, Il Manifesto, 19 settembre 2015: 'Bollywood, il sogno lungo un secolo di un’industria di cinema popolare che non aveva bisogno di guardare dalle parti di Los Angeles per trovare un senso alle proprie narrazioni, ha incarnato per lungo tempo l’idea (troppo spesso ammantata di romanticismo) che esistesse un luogo di resistenza al predominio economico del cinema occidentale, in primis di quello hollywoodiano. Bollywood sinonimo di India, dunque. In pochi, membri di una sparuta minoranza, si sono preoccupati di indagare fino in fondo il cinema indiano, comprendendo come Bollywood non fosse che la punta di un iceberg, per di più ben caratterizzata da un punto di vista linguistico e quindi geopolitico: Bollywood è la roccaforte del cinema hindi, e solo in modo occasionale urdu, non rappresentando dunque la totalità della Settima Arte indiana. Una nazione che vede prosperare altre mecche sparse, come Tollywood a Hyderabad, Sandalwood a Bangalore, Mollywood nel Kerala, e ovviamente Kollywood. Situato a Chennai, (...) Kollywood è l’epicentro della produzione dei film in lingua tamil, la seconda industria cinematografica del subcontinente, e l’unica a parte Bollywood e il cinema d’autore a ottenere una certa visibilità all’estero, in particolar modo negli Stati Uniti e in Francia. Ma anche in giro per i festival, visto quel che è successo a Venezia durante la settantaduesima Mostra del Cinema... (...) For the Love of a Man di Rinku Kalsy è riuscito ad approdare sulle sponde lagunari del Lido, anche se la sua sistemazione nel palinsesto rimane un po’ forzata. (...) E non per una mera questione stilistica o estetica. La Kalsy, che si è formata in Europa, e per l’esattezza in Olanda, prima di cercare fortuna in patria dove ha anche fondato una piccola casa di produzione, la Anecdote Films, non ha alcun interesse a scrivere per immagini una storia del cinema tamil, né si accontenta di abbozzare un ritratto di questo o di quell’altro artista. Il nucleo di For the Love of a Man, per quanto prenda spunto da una figura iconica del cinema tamil come l’attore Rajinikanth, è da rintracciare negli occhi adoranti di migliaia di appassionati cultori. (...) Rinku Kalsy, attraverso un dedalo di interviste, fa sprofondare il suo documentario nei meandri di un sottobosco umano per il quale è difficile trovare pietre di paragone: tra giovani nerd invasati che sfruttano l’arma non convenzionale dei social network per diffondere il culto di Rajinikanth, commercianti che vivono in completa devozione della figura dell’attore, imitatori che hanno trovato nella replica delle sequenze più celebri il modo di sostentarsi e adepti che sono pronti anche a martoriarsi le carni pur che il nuovo film del loro mito ottenga il meritato successo commerciale, For the Love of a Man scavalca con un balzo il semplice resoconto di una carriera artistica per indagare le pulsioni di un popolo che ha trovato nel cinema una nuova religione. Non è certo un caso che buona parte degli intervistati si dichiari atea: tra i vari santoni, sadhu e guru a cui mostrare devozione, perché non trovare spazio anche per un attore? Anche perché Rajinikanth è un uomo del popolo: si è guadagnato da vivere per anni come autista di pullman, e nei suoi film interpreta sempre personaggi dalle origini umili, meritevoli di un riscatto che inevitabilmente dovrà essere raggiunto. Negli occhi degli spettatori (quasi tutti uomini, al punto che le rispettive mogli vengono trascurate per non sottrarre spazio e tempo al culto di Rajinikanth) quell’uomo baffuto e dalla struttura tozza che canta, balla e combatte per loro sullo schermo, non è un semplice attore. È un simbolo, un simulacro, una divinità in carne e ossa. È inattaccabile e imbattibile, e ben lo sa il gestore del cinema che proiettò la prima dell’unico film in cui uno sceneggiatore aveva osato decretare la morte del suo personaggio: sedie divelte, carta da parati lacera e uno schermo ridotto in brandelli. For the Love of a Man apre il fianco a una serie di quesiti che non possono trovare ancora una risposta: può il cinema, con la veicolazione di un’immagine a suo modo sacrale, sovrapporsi o sostituirsi alla religione? E può un popolo trovare in un’immagine fittizia lo scopo per portare avanti le proprie battaglie? Ai posteri l’ardua sentenza. O, meglio, ai discepoli...'

Amruta Subhash - Venezia, 2015


Tannishtha Chatterjee, Amruta Subhash e Ruchika Oberoi - Venezia, 2015

Tannishtha Chatterjee - Venezia, 2015

Samuthirakani, Vetri Maaran e lo scrittore M. Chandrakumar - Venezia, 2015

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